insieme ad Andrea Barretta

Inserita a Agosto 24, 2017

insieme ad Andrea Barretta, che introduce cosi il saggio poetico di Ettore Goffi La bellezza dischiusa, Prinp Editore, Torino, 2015. E’ un saggio in cui etica ed estetica si tengono per mano…

Fatto anomalo dell’arte contemporanea è quello di un artista che s’interroga sulla bellezza e, badate bene, non con riferimento a un’estetica banalizzata da motivazioni di gusto o di moda, ma a quell’essenziale obiettivo di guardare un’opera d’arte senza l’ausilio della parola. E’ il paradosso – attuale in un dibattito culturale – che mette in campo Ettore Goffi nella dicotomia dell’artista che diventa scrittore o, se vogliamo, il contrario, non in una divisione contrapposta ma nel valicare pagine di un libro per andare oltre e approdare nello spazio che rende visibile l’immagine a dilatare il pensiero, dove appare evidente anche la dualità tra definizione di arte e l’esercizio della bellezza che possa competere con il configurarsi di una necessaria presenza dell’estetica.

Sono importanti i riferimenti a ricomporre un’angolazione utile a rintracciare una ricognizione attraverso le suggestioni e le potenzialità della bellezza esercitate nella radicalità linguistica lontana dallo star system che avanza nell’affogare l’arte in un mercato fatto di stereotipi a sradicare i tradizionali rapporti tra meraviglia e stupore, immaginazione e seduzione. Non a caso Ettore Goffi pone un diverso punto di vista che affiora nell’autorialità usata per ridefinire un’attesa: quella di riconoscere il passato per entrare nel futuro, nell’attualità in cui operare senza egocentrismi che corrodono l’anima e le nuove generazioni nella precarietà. E prima o poi dovremo pur affrontare l’adeguamento a essere “immunizzati da occhi nuovi” e a dare all’arte “un significato antropologico e sociale” cui assegna una “soggettività personale” nel tentativo “mai pienamente compiuto, di dare forma estetica” all’ispirazione, perché a dirla con Saba, l’opera d’arte è sempre una confessione.

Goffi, allora, cerca di entrare nella condizione dell’artista scrittore e di trovare un’intesa con l’alchimia tra arte e bellezza, ma anche – appunto – tra società e quotidianità, accennando a temi forti che un breve saggio necessariamente non approfondisce e per questo lascia alcune domande al lettore per una riflessione singolare, ma chiede di fare memoria del “vedere” e del “guardare”, per quanto è intorno a noi affinché arrivi al cuore. E’, insomma, il richiamo principale di tutta la sua dialettica che orchestra in una sorta di caccia al tesoro per raggiungere l’incanto epifanico del “giusto criterio delle realizzazioni”, come dettava Giovanni Paolo II in riferimento all’arte. E ci dà un indizio fondamentale – per uscire da qualsiasi dubbio – nel citare lo scrittore austriaco Karl Kraus, quando afferma che “il vizio e la virtù sono parenti, come il carbone e i diamanti che hanno per base comune il carbonio”.

Ettore Goffi intende provocare nel lettore quell’emozione che, avvisa, ci sarà solo se riusciamo a sospendere “le mille distrazioni e preoccupazioni di cui siamo succubi abitualmente”, perché “il contatto con l’intera umanità nutre e dà forma all’ispirazione artistica”. E come non essere con lui, con il nostro autore, se poi convoca in una chiamata allo splendore, alla magnificenza, all’incanto, con la pittura di Van Gogh, la musica di Beethoven e la scrittura di Dante?

Pur sapendo, tuttavia, che ogni sistema contiene delle contraddizioni è indubbio, seguendo questo percorso, che possiamo desiderare il bene e il bello in una convergenza al di sopra di tutto, sempre più intermedia nella nostra esistenza a comporre la speranza cui si appella Goffi, senza illusioni estetiche né elogi soggettivi che andrebbero a significare che non è arte e non c’è l’artista.  In questi istanti letterari ravvisiamo lo scrittore, quando fa sua l’espressione di Bertolt Brecht sul far confluire tutte le arti nell’arte più grande di tutte: quella di vivere, e quando palesa la risolutezza di lasciare anche solo per un momento i pennelli e la sua tavolozza per essere strumento di un’idea che sia tema di facoltà nel giardino delle opportunità, pur in un paese che si è impoverito culturalmente. In fondo basta averne la consapevolezza, ed Ettore Goffi l’ha, perché ragiona fuori da imposizioni e limitazioni, soprattutto in quel ritorno a casa, nella dimora in cui abbracciare non l’intenzione di Kant ma la realizzazione di Hegel, nell’impegno morale da versare al vero oltre il dominio di balzelli pseudo culturali, almeno nell’accostare il pensiero all’esperienza artistica, e se questa bellezza “dischiusa” non salverà il mondo come nei desideri di Dostoevskij, forse basterà a salvare l’arte.

 

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